Bookmark and Share

domenica 28 settembre 2008

un giorno, per caso, un click..



".. SE LE TOCCHI CADONO PER TERRA, FRA TRE QUATTRO GIORNI SI FINISCONO DI CONSUMARE, POI SI BUTTANO A TERRA E STANNO SEI SETTE GIORNI A LAMENTARSI.. COME L'umanità si deve finire di consumare.. "


un click..


http://www.youtube.com/watch?v=QzJUcXU8DJw&feature=related

venerdì 26 settembre 2008

LE VIE DEI TESORI




Visite e incontri nei luoghi dell’Università

Quattro weekend per vivere arte, scienza, natura

Palermo, 26 settembre - 19 ottobre 2008

Ingresso gratuito





sabato 20 settembre 2008

STRADE

Che strana giornata oggi; ieri si programmava di fare un giro per i mercati storici di Palermo, oggi il cielo è nero, forse pioverà, eppure la voglia rimane.. e allora perché non andare, perché non provare?
Ore 10.00 Il Capo, Palermo.
Inizia il viaggio, inizia la pioggia, una pioggia battente che bagna le strade, i tendoni, eppure la gente non sembra fermarsi, lì al Capo, si accelera il passo, si aprono gli ombrelli, qualche turista si ripara in una chiesa.. lì, al Capo. Il gruppo di partenza non si è mai formato, causa maltempo, siamo solo in tre, con la speranza che presto finirà la pioggia e tornerà il sole, ma la speranza è presto vana, e bagnati ormai, continuiamo il percorso per i vicoli della nostra città. Un uomo avanti con gli anni ci indica una chiesa, “andate, ne vale la pena”, penserà che siamo dei turisti, noi, che con la nostra macchina fotografica gironzoliamo, guardandoci intorno con aria spaesata, con l’aria di chi giunge in questi posti per la prima volta.. eppure siamo di Palermo, questa è la nostra città.
Una signora dall’aria trasandata, la nostra Palermo, quanta storia tra i suoi vicoli, quanta gente per le sue strade, qualcuno abbannia ancora al Capo, la città è viva, il fuoco brucia
ancora, sepolto dalla cenere.
La pioggia ci impedisce di proseguire, le strade lì al capo si riempiono di specchi d’acqua, i pantaloni sono ormai zuppi, e allora si cambia strada, si modificano i percorsi; stradine si diramano per il centro storico, luoghi nei quali generalmente non sostiamo, sono quei vicoli stretti, bui, l’altra faccia di Palermo..
“dove andiamo?”
“prendiamo da lì!”
“lì? e dove si arriva ?”
“ah.. non lo so mica, il bello è proprio questo”
Già, il bello è proprio questo, imparare a perdersi.. forse Benjamin intendeva proprio questo, chissà. Generalmente orientarsi è la cosa a cui si tende, ricondurre tutto a schemi prefissati, a griglie precostituite, e se invece provassimo a perderla questa rotta?
Ha finito di piovere, ormai siam distanti dal Capo, ma ci ritorneremo, stavolta per attraversarlo TUTTO, in barba alla pioggia! Ancora una volta!

Gisella Meli

sabato 13 settembre 2008

BOLLE DI SAPONE


Ode alla vita di Pablo Neruda

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Lentamente muore chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza,
per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella
vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge ,
chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia
Aiutare. Muore lentamente chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.



Tanto tempo fa lessi questa poesia su di un giornale, chissà perché ne strappai la pagina. Da quel giorno la porto sempre con me, forse a ricordarmi di non morire, forse a sbandierami il fatto di esserlo ormai da tempo.. ma chi può dirsi vivo oggi? Nell’era del già detto o fatto, mi chiedo se ci sia ancora spazio per il delirio.
Io sono morta da tempo.

martedì 9 settembre 2008

OLTRE

Foto quartiere Brancaccio, Palermo
Oltre questa cortina di ferro, oltre gli schemi, le rappresentazioni, oltre questa barriera che separa il questo dall’altro. Sapere andare oltre, sguardi diversi per rendere la contemporaneità, al diavolo gli equilibri, le categorie, le etichette; scoprire l’altro, osservarlo, provare a raccontarlo con occhi che sono i tuoi, con modalità che ti son proprie, tu e l’altro.. tu e lui solamente, per un incontro in cui non c’è più spazio per i “se” e i “non-detto”.
Sguardi multipli per una realtà che diventa la tua, cadono gli schemi, cadono le categorie, cade la realtà oggettiva: decostruire per ri-creare, de-scrivere per re-inventare.. fosse così semplice.

domenica 7 settembre 2008

Deliri di una studentessa: NON-LUOGHI

Mesi fa partecipai ad una conferenza di Marc Augé, etnologo e antropologo francese, directeur d’études all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi. Partiamo dal presupposto che non ho mai letto nulla di quest’uomo, mai visto né conosciuto prima d’allora.. e allora, perché andare ad una sua conferenza, vi starete chiedendo?
La risposta è una sola: curiosità! e una buona dose di sadismo, ovviamente!
Mi incuriosiva questa concetto: NON-LUOGO. Come può un luogo non essere considerato tale? Nella mia mente cominciarono a farsi strada delle domande, prima fra tutte: il luogo a cosa deve la sua esistenza?
Prime ipotetiche risposte: un luogo è tale in base alla suo essere nello spazio e nel tempo.
Altra domanda: cos’ è che Augé definisce non –luoghi?

La prima cosa che mi colpì di quest’uomo fu il suo essere solo in mezzo alla gente. Stava lì, l’aula era gremita, docenti della facoltà di Architettura, dottorandi in pianificazione urbanistica, studenti. Osservava come se guardasse dal di fuori, come se ciò che lo circondava non lo toccasse..
Prendo posto, generalmente nelle retrofile, sono quelle che preferisco; dopo una breve presentazione Augé inizia il suo discorso. Che sia un antropologo è presto detto; ha la tendenza a partire dal particolare e ricondurre tutto a concetti ben più grandi. Inizia a parlare di città, del rapporto centro/periferia e qui, nel bel mezzo della trattazione, comincia a farsi strada quel concetto di non-luogo. Pare che lui definisca tali quei luoghi non identitari e privi di relazione, fin qui nulla di strano, almeno fino a quando questo concetto viene ripetutamente accostato a quello di periferia.
Per quanto le rappresentazioni che ho di questi luoghi siano legate a cliché nostalgici, non riuscivo a capire come si potessero definire privi di identità.
Nelle sue parole trovava esplicitazione quell’ immagine di periferia come non-città, come spazio dell’alienazione, dell’esclusione, della devianza, luoghi in cui si passa andando e venendo dal centro.. fin quando la mia attenzione ricade su di un unico concetto: “frustrazione”, usato come aggettivo e associato dallo stesso Augé ai giovani che vivono in periferia, definiti “frustrati”per il loro sentirsi esclusi da quella tal cosa che si è soliti chiamare CENTRO. Quanto ci sia di vero nelle sue parole sinceramente non saprei dire, chissà forse anch’io rientro nella categoria.. una cosa allora mi preme, cercarne la definizione nel vocabolario:

agg: frustrato, deluso, reso vano.
in psicanalisi: a) di soggetto che soffre di frustrazioni; b) di impulso, di tendenza impedita nel suo manifestarsi.
Sost: frustrazione, stato d'animo di chi ha la sensazione che tutta la sua opera sia stata o sia vana; in psicanalisi, situazione psicologica che il soggetto avverte come un senso di limitazione e di impedimento alla libera espressione della sua personalità.

- Controllo ancora una volta gli appunti di quel giorno -

“non c’è identità senza alterità, non c’è identità senza relazione”

venerdì 5 settembre 2008

Rappresentazioni

L'io, la città.. una geografia tutta emozionale. Qui, un tentativo di dare un'immagine ad un paese interiore seguendo il moto delle emozioni attraverso paesaggi..

Esco dalla lussuria.
M'incammino
pei lastrici sonori della notte.
Non ho rimorso e turbamento. Sono
solo tranquillo immensamente.
Pure
qualche cosa è cambiato in me, qualcosa
fuori di me.
Ché la città mi pare
sia fatta immensamente vasta e vuota,
una città di pietra che nessuno
abiti, dove la Necessità
sola conduca i carri e suoni l'ore.
A queste vie simmetriche e deserte
a queste case mute sono simile.
Partecipo alla loro indifferenza,
alla loro immobilità.
Mi pare
d'esser sordo ed opaco come loro,
d'esser fatto di pietra come loro.
Ché il mio padre e la mia sorella sono
lontani, come morti da tanti anni,
come sepolti già nella memoria.
Il nome dell'amico è un nome vano.
Tra me e loro s'è interposto il mio
peccato come immobile macigno.
E se sapessi che il mio padre è morto,
al qual pensando mi piangeva il cuore
di essere lontano ora che i giorni
della vita comune son contati,
se mi dicesser che il mio padre è morto,
sento bene che adesso non potrei
piangere.
Son come posto fuori della vita,
una macchina io stesso che obbedisce,
come il carro e la strada necessario.
Ma non riesco a dolermene.
Cammino
pei lastrici sonori nella notte.

Camillo Sbarbaro

ShareThis

Powered By Blogger